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Il nostro progetto
Non piantiamo pianticelle in giro per il mondo.
Non piantiamo pianticelle in giro per il mondo.
Non interriamo piantine che saranno alberi fra un secolo, mentre gli uomini, incuranti dei danni che procurano, continuano a devastare le foreste tagliando i grandi alberi che ci sono già.
Nel Regno di Farneta piantiamo anche alberi; tanti alberi, ma, soprattutto, non tagliamo gli alberi che ci sono, che sono bellissimi.
Non più così
La quercia di Galileo
Noi compriamo i boschi, per impedire che gli alberi vengano tagliati, ed i nostri alberi li affidiamo a persone che li amano e li rispettano.
Così, quegli alberi, apparterranno a quelle persone per tutta la vita.
Come nasce il progetto
Passeggiando nel bosco mi godevo i raggi del sole d’autunno che, filtrando fra le fronde delle querce e dei lecci secolari, brillavano come grossi diamanti di luce.
Dal suolo salivano i profumi autunnali dei funghi impazienti di sbucare dalla terra.
Nella mia testa suonavano i flauti e gli oboe dell’ouverture del Guglielmo Tell.
La dolcissima musica di Rossini mi donava una gioia calma e serena.
Un rumore, in lontananza, venne a rompere l’incantato silenzio del bosco.
Un rumore di motori che ruggivano aggressivi, rabbiosi, feroci.
E ad un tratto li vidi.
Un gruppo di uomini, armati di grandi motoseghe, stava abbattendo alberi maestosi che, una volta a terra, venivano dilaniati, fatti a pezzi ed ammonticchiati come carcasse di animali inermi, smembrati da feroci ed implacabili predatori.
Gli alberi cadevano, come giganti colpiti, uno ad uno, rendendo al suolo le loro frondose chiome e morivano così, in pochi istanti, senza alcuna possibilità di difendersi, senza poter fuggire da quello scempio orrendo.
Cadevano e morivano privati in un attimo della loro elegante e maestosa dignità e venivano trasformati in pezzi di legna: in roba da bruciare.
Urlavano quegli alberi, o forse ero solo io che li sentivo urlare tutta la loro disperazione in un silenzio assordante.
E sanguinavano dalle ferite.
Dai poveri moncherini dei loro rami recisi usciva un sangue bianco, con venature verdastre, la linfa che fino a pochi attimi prima scorreva a portare la vita in tutte le loro cellule, dalle foglie alle radici, sgorgava copiosa inzuppando il terreno.
Gridavano, quegli alberi, o forse ero solo io che li sentivo gridare, forse solo io sentivo in quelle immaginarie grida una disperata richiesta di aiuto.
Quella richiesta era rivolta a me.
Dovevo fare qualcosa.
Dovevo fermare quel macello.
Dovevo aiutarli.
E l’ho fatto.
Ho comprato quei boschi ed ho fatto cessare quel massacro.
Nessuno, mai più, taglierà i miei alberi.
E quando passeggio nei boschi, che ora sono miei, godendomi le prime verdi foglioline in primavera, la frescura estiva o il profumo umido dei funghi d’autunno, con nella testa i flauti e gli oboe dell’ouverture del Guglielmo Tell, mi pare di sentire una voce, ma forse la sento solo io, un sussurro tra le foglie, una voce dolce, che parla sussurrando con me.
Forse sarà la mia immaginazione, ma mi pare proprio che quella voce stia dicendo...
Grazie.
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